La notte à la battaglia precedente, Che frà i due Cavalier feguir dovea, Volgendo il Conte l' affannata mente Al periglio mortal, ch' egli correa, Ricominciò à penfar tutto dolente Di non voler tentar s'egli potea;
E innanzi l'alba i fuoi chiamò fremendo, Un gran dolor di ventre haver fingendo.
Il Padrin, che dormia poco lontano, Tutto confufo fi deftò à quell' atto; Con panni caldi, e una lucerna inmano Berrochio fuo fcudier v'accorfe ratto; E'l Barbier de la villa, e il Sagreftano Di Sant' Ambrofio v'arrivaro à un tratto, E'l provido Barbier, ch' intefe il male Gli fè fubitamente un fervitiale.
Ed egli per non dar di fe fofpetto, Cheto fel prefe, e fi moftrò contento; Mà fingendo, che poi non feffe effetto, Nè prendeffe il dolore alloggiamento. Chiamò gl'amici, e i fervidori al letto, E diffe, che volea far teftamento: Onde mandò per Mortalin Notaio, Che venne con la carta, e'l calamaio.
La prima cofa lafciò l' alma à Dio, E lafciò il corpo à quell' eccelfa terra Dov'era nato, e per legato pio Danari in bianco, e quantità di terra; BH 2
Indi tratto da folle, e van defio A difpenfar gli arredi fuoi da guerra: Lafciò la lancia al Rè di Tartaria,
E lo feudo al Soldan de la Soria.
La fpada à Federico Imperatore, Ed al popol Romano il corfaletto; A la Reina del mar d' Adria l'onore Dal fecol noftro, un guato, e un bracialetto, L'altro lafciollo à la Città del fiore,
E al Greco Imperator lafciò l' elmetto: Mà il cimier, che portar folea in battaglia Ricadeva al Signor di Cornovaglia.
Lafciò l' honore à la Città del Potta, Poi fè del refto il fuo Padrino erede; D' intorno al letto fuo s'era ridotta
Gran turba in tanto, chi à feder, chi in piede, Frà quali ftando il buon Roldano allotta, Che non preftava à le fue ciance fede,
Gli diceva à l'orecchia tratto, tratto, Come tù fei vituperato à fatto.
Non vedi, che coftor than conosciuto, Che per tema tu fai de l'ammalato? Salta fù presto, e non far più rifiutto, Che tu fvergogni tutto il parentato: Noi fpartiremo, e ti daremo aiuto Subito, che l'affalto è incominciato, Il Conte fi riftringe, e fi lamenta, E fi vorria levar, mà non s'attenta.
Di tenda in tenda in tanto era voltata La fama di quell' atto, e ogn' un ridea Renoppia *), che non era ancor leuata, Un paggio gli mandò, che glidicea, Che ftava per fervirlo apparecchiata, E accompagnarlo in campo, e ben credea, Ch'egli fi porterebbe in tal maniera, Ch' ella n' havrebbe pofcia à gire altiera.
Quefta ambafciata gli trafiffe il core, E deftò la vergogna addormentata, E cominciaro in lui viltà, ed onore A combatter la mente innamorata: S'alza à federe, e dice, che'l dolore Mitigato ha il favor de la fua amata, E s'addatta à vestir, mà la viltade Finge, che'l dolor torni, e giù ricade.
E la Pittrice già de l'Oriente Pennell eggiando il Ciel de' fuoi colori, Abbelliva le ftrade al dì nafcente,
E Flora le fpargea di vaghi fiori. Quindi ufciva del Sole il carro ardente, E di raggi di luce, e di fplendori
Vestiva l'aria, il mar, la piaggia, è il monte, E la notte cadea da l' Orizonte.
Taffoni. Di vecchia, e delicata malvagia, Gli ne fece affaggiar trè gran bicchieri, Ed ei pronto gli bebbè, e volontieri.
Cominciò il vino à lavorar pian piano, E à rifcaldar il cor timido, e vile, E mandar al cervel più di lontano Stupido, e incerto il fuo vapor fottile: Onde il Conte gridò, ch' era già fano, Che'l dolor gli have tolto il vin gentile, E balzando del letto i panni chiefe, E tofto fi vefti l'ufato arnefe.
Indi tratto fremendo il brando fuors, Tagliò Zeffiro in pezzi e l'aurea estiva, E fe non era il fuo Padrino allora A la battaglia fenz' altr' armi ei giva, L'almo liquor, che i timidi rincora, Puotè affai più, che la virtù nativa: Ben profetò di lui l'antica gente, Ch'era fovra ogni Rè forte, e poffente.
Hor mentre s'arma, ecco Renoppia viene, E'l coraggio gl' addoppia, e la baldanza, Che con dolci parole, e luci piene D'amor gli fà d' accompagnarlo inftanza: Egli, che'l foco accefo hà nelle vene, Commoffo da defio fuor di fperanza, E da furor di vino, ambo i ginocchi A terra china, e dice à que' begl' occhi,
O del Cielo d' Amor ridenti ftelle Onde de la mia vita il corfo pende,
D'amorofa fortuna ardenti, e belle
Ruote, dove mia forte hor fale, hor fcende: Imagini del Sol vive facelle
Di quel foco gentil, che l'alme incende, Il cui raggio, il cui lampo, il cui fplendore Ogn' intelletto obbaglia, arde ogni core.
Occhi de l'alma mia, pupille amate, Lucidi fpecchi, ove beltà vagheggia Se fteffa, archi celefti, ond' infuccate Quadrella aventa Amor, ch' in voi guerreggia, De le voftre fembianze, onde il fregiate, Così fplende il mio cor, così lampeggia, Ch' ei non invida al Ciel le ftelle fue, Benche fian tante, e voi non più che due.
Rimiratevi voi con lieto ciglio Del cieco viver mio lumi fidati, Siate voi teftimoni al mio periglio, E fcorgetemi voi co' guardi amati: Che fia vano ogni forza ogni configlio, Cadrà l'empio, e fellon ne propri aguati, E non che di pugnar con lui mi caglia, Mà sfiderò l'infermo anco à battaglia.
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