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abitanti delle città stimano fuor del Mondo chi non vive con essi; quasi fuor delle città nè spezie umana più siavi, nè Mondo. Ove non può rendersi utile il saggio? Ove lo può meglio il ricco, che nelle campagne, in cui quella porzione alberga dell'uman genere, che più abbisogna degli altrui soccorsi, e che li merita più? Parmi anzi che qui, lunge dal dimenticarsi degli uomini, s'impari più presto ad amarli, e a servirli meglio, quando nelle città sei nel rischio, e nella tentazion d'ingannarli, onde non venire ingannato. Parmi che l'anima, in un' aria libera e pura, più pura anch'essa diventi, e più facilmente dalle affezioni men belle si disviluppi; che anch'essa pongasi in libertà.

L'amor della solitudine nasce da indole trista e rinchiusa: può essere in molti. Nasce dalla noja del Mondo; o questa derivi dal ben conoscerlo, e però da un disinganno totale; o dal conoscerlo poco, e quindi dal non saper vivere in esso: an

che questo esser può. Nasce da quel senso fino de'falli e difetti umani, unito ad una passion forte per le doti della mente e del cuore, che a formar viene ciò che dicesi misantropía: anche questo. Nasce da passione di studio, massime ove si tratti di quelle facoltà, che più comodamente coltivar si possono in villa; e questo ancora. Ma la libertà del vivere, l'amor del riposo, il piacer della meditazione, la cura della propria salute, lo spettacolo de' lavori e della rustica economia, son motivi anche questi di considerazion degni; a nulla dire di quell'incantesimo per alcuni così possente, che su la faccia sparso veggiamo della natura.

Quelle valli e montagne, que' boschi e prati, quell'ombra e quel sole, que' contrapposti di ameno e di selvaggio, di ridente e di orrido, quel biondo de' campi in mezzo alle tante gradazioni della verdura, e sotto un gran cielo azzurro

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nubi riccamente dipinto, e talora nelle

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onde lucide ripetuto, e gli augelli, e gli armenti, e i coltivatori che dan moto e vita a tutta questa sì gentile, sì grande, sì varia scena... ah! chi può descriverla? Chi può parlare di quegli enti nuovi, de popolata m' apparisce, di quegli enti fatti secondo il mio cuore? E che importa che fantastici sieno, se la lor compagnia mi torna sì cara, e mi gitta nell'estasi la più deliziosa? Il qual genio per essi, anzi che sentire di misantropía, veggano quelli, che l'accusan di ciò, non indichi più presto un cuor delicato ed affettuoso, che non contento del Mondo reale, ricorre alla cortese immaginativa, la quale gliene dipinge uno, chimerico sì, ma d'un pascolo ad esso il più omogeneo per la qualità, ma l'ambrosia sua ed il suo nettare per la squisitezza.

Tra i vantaggi poi, che annoverar potrei molti, della vita solitaria, questo mi par sommo, che impariamo a conoscer bene le forze del nostro animo. Finchè siam

nel Mondo, gli amici e i parenti si prendono un certo pensiero di noi, ci danno la mano, dirò così, per camminare ne' sentieri anche men difficili della vita; e intanto noi andiam perdendo la facoltà di muoverci da noi stessi. Solo al contrario e abbandonato a sè medesimo, potrà uno sapere ciò ch' egli vale, ed anche un nuovo vigor morale acquisterà egli; perchè ciò, che sul corpo guasto fa una ragionevole astinenza, la quale lo rinvigorisce, faranno sul cuore, che difficilmente nel Mondo si mantien sano, alcuni mesi di solitudine appunto chiamata dalla savia antichità la dieta dell' anima .

Queste due maniere di vivere sono così diverse, che s'io non temessi ora di parere lodar me stesso, direi che ove l'uom mediocre, e senza virtù può goder nel Mondo di qualche bene, la solitudine al contrario non convien propriamente che ad uno spirito non comune, e ad una conscienza non agitata. Certo parecchi non

dubitarono d'asserire, che la felicità umana consiste nell' uscire il più ch'è possibile di sè stessi, onde sentire il men ch'è possibile l'insufficienza propria; la qual diffinizione, come che non abbia nulla di nobile e di consolante, non lascia però, considerata la più parte degli uomini, d'esser vera. Vedete là colui, ch' esce di casa sì frettoloso? Non è tanto per cercar gli altri, quanto per fuggir sè medesimo. Ma che felicità infelice è mai quella, che dagli altri dipende? Il solitario all'incontro, che ha un bene non precario, ma suo, o sarà un selvaggio, e una fiera più che altro, o non volgare uomo: perchè come vivere con sè stesso, se non è contento di sè, se ha rimorsi, se non basta a sè medesimo, e non sa nutrirsi, per così dire, della sua propria sostanza? Quindi il pensier d'Aristotile, ch' esser dee o da meno, o da più che uomo; pensiero poeticamente rinforzato dal Milton, ove cantò, che la perfetta solitudine è propria del solo Dio.

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