Page images
PDF
EPUB

VIII.

Nè men con l'altro di vagar mi giova Per abitata, o per solinga strada, E veder dame, e cavalieri in prova Di cortesia venir, venir di spada, Mostri di forma inusitata e nova, Castel, che sorga d'improvviso, o cada, Opre d'incanto, ove maggior si chiude, Che tosto non appar, senso e virtude.

IX.

Poi rivolgo lo sguardo, e sul pendio Della collina, ove son d'oro i campi, Le falci in man de' mietitor vegg' io, Sotto il pendulo Sol, dar lampi e lampi. Ma tu, buon mietitor, frena il desio, E non dolerti, che di man ti scampi, E alle povere man della pudica Spigolatrice resti alcuna spica.

X.

Se, tua mercede, sostener nel verno
Potrà sè stessa tra le angustie avvolta,
Solleverà di te prece all' Eterno,

Che sempre quella d'un cor grato ascolta :
Ed anco di stagion nemica a scherno
La nuova tua s'indorerà ricolta,

E vedrai, che la tua d'altrui pietade

[ocr errors]

Più che le piogge e il Sol, giova alle biade.

XI.

Ir leggendo talor mi piace ancora Qualche bella d'amore istoria finta, Cui di dolce eloquenza orna e colora Penna in Anglici inchiostri, o in Franchi tinta. Qui più d'una mia propria, e più talora D'una vicenda tua chiara e distinta, Zenofila gentil, legger m'è avviso ;

E di lagrime dolci aspergo il viso.

XII.

O tu, tu, la cui sorte ai destin miei Parea pur che dovesse ir sempre unita, Chi detto avrebbe un dì, ch'io condurrei Dalla tua sì diversa or la mia vita? Mentr'io questo ragiono, appena sei Tu forse di tue piume al giorno uscita, Ed ora siedi al lungo specchio, dove Mediti nuove fogge, e piaghe nuove.

XIII.

Visita un dì le mie romite sponde:
Ecco venirti ad incontrar per via
Cor le più rosee frutta, e le più bionde
Le forosette della villa mia.

T'atende questo Zefiro, che l'onde
Agitur del tuo crin forse desia,

E' più che da' fior suoi, spera diletto

Da quanto ti fiorisce in volto e in petto.

XIV.

Meravigliando Cromi al dì novello
Parmi immobile star sovra l'aratro,
Veggendo il campo rivestito e bello,
Ove prima giacea più nudo ed atro.
Sai, gli dirò, qual magico pennello
Questo di colli rabbellì teatro?

Vedi tu questa rosa, e là quel giglio?
La mano qui posò, là volse il ciglio.

XV.

Frutto de' suoi sorrisi, e non del Sol, È quest'aere sì lucido e sereno.

De' fiati suoi, non d'erbe e di viole,
Frutto è quest'aere di fragranza pieno
Un dolce resto delle sue parole
Ondeggia ancor del liquid' aere in sem.
Deh serbi a lungo di quel suon la traccia,
E taccia intanto il rivo, e il bosco taccia

[ocr errors]

* Così chiama l'Autore l'amico suo Conte Andrea Nogarola. Questo Cavaliere mancò di vita due anni e mezzo dopo scritti questi versi cioè nell' inverno dell'anno 1787. Buon Letterato, e buon Cittadino, avendo sostenuto più volte pubblici impieghi. Fu poi d'una soavità di maniere, e d'una purezza di costumi non ordinaria; e morì in età ancor fresca con una invidiabile e rara

costanza.

« PreviousContinue »