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LA GIOVINEZZA.

I.

Di folto e largo faggio

Sotto l'intreccio verde,
Per cui varcando perde
Il più cocente raggio,
Un bel mattin di Maggio
Vidi posare il fianco

Bellissima una Donna :

Il color della gonna

Era purpureo, e bianco.

II.

In questo, e in quel colore
La guancia si tingea:
Nelle pupille ardea

Un tremolo fulgore.

Par che il seren del core

Su la fronte si spanda,

E passi in chi la mira;

E intorno al crin le gira
Di rose una ghirlanda.

III.

È dunque invan ch'io scampo,
Amor, dalla tua mano,
Ed io qui fuggo invano
Della tua face il lampo.
Se tra la selva e il campo
S'offron tai rischi al ciglio,
Per pace invan qui movo,
Poi che maggior non trovo
Nelle città periglio.

IV.

Levossi allora, e il viso,

Come se letto intero

Avesse il mio pensiero,
Colei vestì d'un riso.

Poi, guardandomi fiso,

Fece volar tal suono :

Non dubitar, più mai

Tu non mi rivedrai,

La Giovinezza io sono.

V.

E volte a me le spalle
Si pose tosto in via.

Degli occhi io la seguía,
Ch'iva di valle in valle;
E lei veggendo il calle
Premer con gran prestezza,
Nè su la propria traccia
Rivolger mai la faccia,

Dissi: è la Giovinezza.

VI.

Dunque i bei dì fuggiro?

Io Primavera ovunque

Volgo le ciglia dunque,

Fuor che in me stesso, or miro?
Ragion, con te m'adiro:

Quel volator selvaggio

Canta, e non sente affanno,
Che tolto gli abbia un anno
Il ritornato Maggio.

VII.

Del tempo ancor non giunto,
Di quel per sempre scorso

Nè tema, nè rimorso

Lo tiranneggia punto.
D'amico, o di congiunto
Nell'imbianchito crine,

Nel viso trasformato

Non legge il proprio fato,

Non legge il proprio fine.'

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