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O in marmo espressa, e a meditar com'arte La sua madre e maestra emuli e vinca:

*

Nè pago ancora, i lavor suoi più rari Celebri in carte, che non temon notte. Segui, GUGLIELMO contra i tanti mali Della vita mortal gli Dei pietosi Non ci dier forse le celesti Muse? Ma se movi talor per via solinga, Al raggio amico di tacente Luna, O tra le Imperiali erbe, o tra quelle Di Boboli Dedaleo, e in folta selva Con piè non consapevole ti metti, Mormorando tuoi sensi, e col pensiero Tutto levato sovra il corso umano, Chi sa che al guardo non ti s'offra un'Ombra, Qual ben saresti di mirar contento?

*Nella sua Epistola in versi all' Autore, che si legge stampata in una Raccolta di Poesie Inglesi uscita in Firenze, gli Autori della quale furono egli il Signor Parsons, la mentovata Signora Piozzi, e i Signori Greatheed e Merry valorossimi anch'essi .

Coteste rive dal Britanno Omero

Fur viste, e amate; e nel divin suo canto
Suona, e ognor sonerà Fiesole, ed Arno,
Ed i ruscei di Vallombrosa, e il nome.
Del gran Saggio d'Etruria *. Oh se la grande
Alma onorata veder puoi, ritienla

Tu che puoi farlo, e per me ancor le parla.
Dille, come tra l'acque, e all'odoroso
Rezzo del suo cantato Eden io vado
Con piacer redivivo errando sempre:
Come spesso a veder torno e ritorno
Quelle caste bellezze, ond' ei le membra
Infiorar seppe dell' angelica Eva;

Gli atti, le grazie, e il portamento, e quella
Non finta ritrosía, pudor non finto,
Ritrosía dolce, e lusinghier pudore,
Ed i sospir non falseggiati, e ad arte
Gli occhi non volti, o meditato il riso;
E tanti vezzi d'innocenza pieni,

* Son noti i viaggi del Milton, e la sua amicizia col Galilei.

Leggiadrie tanto pure, o sieda, o mova, O parli, o taccia, o stia pensosa, o lieta: E dille al fin, come in un Eden vero, Suoi canti udendo, la mia stanza io muto.

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Grato al piacer, che move

Da te, vergine Diva, e in sen mi piove,

Te canterò: m'insegna

Deh tu quell' armonía,

Che del pudico indegna
Orecchio tuo non sia,

Che parte stillar possa in cor del Saggio
Di quel dolce, ond' è pieno il tuo bel raggio.

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II.

Oh quante volte il giorno

Insultai col desío del tuo ritorno !

L'Ore in oscuro ammanto,

E con viole ai crini,

T'imbrigliavano intanto

I destrieri divini,

E su l'apparecchiata argentea biga
Il Silenzio salía, tuo fido auriga.

III.

Perchè sola ti vede,

Sola l'ignaro vulgo in ciel ti crede:

Ma il Riposo, la Calma,

Del meditar Vaghezza,

Ogni Piacer dell'alma,

La gioconda Tristezza,

E la Pietà, con dolce stilla all'occhio,
Ti stanno taciturne intorno al cocchio.

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