Torquato Sia cafo, od arte, hor accompagna, et hora Alterna i verfi lor mufica ora.
Vola fra gli altri un, che le piume hà fparte Di color vari, et ha purpureo il roftro. E lingua fnoda in guifa larga, e parte La voce fi, ch' affembra il fermon noftro. Queft' ivi all'hor continuò, con arte Tanta il parlar, che fù mirabil mostro. Tacquero gli altri ad afcoltarlo intenti, E fermaro i fufurri in aria i venti.
Deh mira (egli cantò) spuntar la rofa Dal verde fuo modefta, e virginella: Che mezo aperta ancora, e mezo afcofa, Quanto fi moftra men, tanto è più bella. Ecco poi nudo il fen già baldanzofa Difpiega, ecco poi langue, e non par quella, Quella non par, che defiata avanti. Fù da mille donzelle, e mille amanti.
Cofi trapaffa al trapaffar d'un giorno De la vita mortale il fiore, e'l verde: Nè perche faccia indietro April ritorno, Si rinfiora ella Mai, nè fi rinverde; Cogliam la rofa in fu 'l mattino adorno Di quefto dì, che tofto il feren perde: Cogliam d' Amor la rofa: amiamo hor, quando Effer fi puote riamato amando.
Tasque; e concorde de gli augelli il coro,
Quafi approvando, il canto indi ripiglia.
Raddopian le colombe i baci loro:
Ogni animal d' amar fi riconfiglia.
Par che la dura quercia, e'l cafto alloro, E tutta la frondofa ampia famiglia;.
Par, che la terra, e l'acqua, e formi, e fpiri Dolciffimi d'amor fenfi, e fofpiri.
Fra melodia fi tenera, e fra tante Vaghezze allettatrici, e lufinghiere Và quella coppia; e rigida, e conftante Se fteffa indura à i vezzi del piacere. Ecco tra fronde, e fronde il guardo avante Penetra, e vede, ò pargli di vedere ;
Vede pur certo il vago, e le diletta, Ch'egli è in grembo a la donna, effa a l'herbetta.
Ella dinanzi aspetto hà il vel divifo, E'l crin fparge incompofto al vento estivo. Langue per vezzo: e'l fuo infiammato viso Pan biancheggiando i bei fudor più vivo. Qual raggio in onda, le fcintilla un rifo Ne gli humidi occhi tremulo, e lascivo. Sovra lui pende; et ei nel grembo molle Le pofa il capo, e'l volto al volto attolle.
Ei famelici fguardi avidamente In lei pafcendo, fi confuma, e ftrugge. Sinchina, e i dolci baci ella fovente
Liba hor da gli occhi, e da le labra hor fugge:
Et in quel punto ei fofpirar fi fente
Profondo sì, che penfi; hor l'alma fugge,
E'n lei trapaffa peregrina: afcofi
Mirano i duo Guerrier gli atti amorofi..
Dal fianco de l' amante, estranio arnefe, Un cristallo pendea Lucido, e netto. Sorfe, e quel fra le mani à lui fofpefc, Ai misteri d' Amor miniftro eletto. Con luci ella ridenti, ei con accese Mirano in vari ogetti un fol oggetto: Ella del vetro à fe fà fpecchio: et egli Gli occhi di lei fereni à fe fà fpegli.
L'uno di fervitù, l' altra d'impero Si gloria: ella in se stessa, et egli in lei. Volgi (dicea) deh volgi il Cavaliero A me quegli occhi, onde beata bei: Che fon, fe tu no'l fai, ritratto vero De le bellezze tue gli incendii miei. La forma lor le meraviglie à pieno,
Più che 'l cristallo tuo, moftra il mio feno.
Deh, poi che fdegni me, com' egli è vago Mirar tu almen poteffi il proprio volto: Che 'l guardo tuo, ch' altrove non è pago, Gioirebbe felice in fe rivolto.
Non può fpecchio ritrar sì dolce imago. Nè in picciol vetro è un paradifo accolto. Specchio t'è degno il cielo, e ne le ftelle Puoi riguardar le tue fembianze belle.
Ride Armida à quel dir: ma non che ceffe Dal vagheggiarfi, ò da' fuoi bei lavori. Poi che intrecciò le chiome: e che ripreffe Con ordin vago i lor lafcivi errori, Torfe in anella i crin minuti, e in efle Quafi fmalto sù l'or, confparfe i fiori:
E nel bel fen le peregrine rofe Giunfe à i nativi gigli, e'l vel compose.
Nè 'l fuperbo pavon sì vago in mostra Spiega la pompa de l' occhiute piume: Nè l' tride sì bella indora, e inoftra Il curvo grembo, e rugiadofo al lume. Ma bel fovra ogni fregio il cinto moftra, Che nè pur nudá hà di lafciar coftume. Dié corpo à chi non l' hebbe, e quando i fece Tempre mifchiò, ch' altrui mefcer non lece.
Teneri fdegni, e placide, e tranquille` Repulfe, cari vezzi, e liete paci, Sorrifi, parolette, e dolci ftille
Di pianto, e fofpir tronchi, e molli bacì; Fule tai cofe tutte, e pofcia unille,
Et al foco temprò di lente faci: E ne formò quel sì mirabil cinto,
Di ch' ella haveva il bel fianco fuccinto.
Fine al fin pofto al vagheggiar, richiede A lui commiato, e'l bacia, e fi diparte. Ella per ufo il di n'efce, e rivede Gli affari fuoi, le fue magiche carte. Egli riman: ch' à lui non fi concede Por orma, ò trar momento in altra parte: E tra le fere fpatia, e tra le piante,
(Se non quanto è con lei) romito amante,
Ma quando l'ombra co' filentii amici Rapella à i furti lor gli amanti accorti; Traggono le notturne hore felici
Torquato Sotto un tetto medefmo entro à quegli horti. Hor poi che volta à più feveri uffici Lafciò Armida il giardino, ei fuoi diporti; I duo, che tra i cefpugli eran celati, Scoprirfi à lui pompofamente armati.
Qual feroce deftrier' ch' al faticofo Honor de l' arme vincitor fia tolto: E lafcivo marito in vil ripofo
Fra gli armenti, e ne' paschi erri difciolto; Se'l defta ò fuon di tromba, ò luminofo Acciar, colà tofto annitrendo è volto! Già già brama l'arringo, e l' huom fu 'l dorfo Portando, urtato riurtar nel corfo.
Tal fi fece il Garzon, quando repente De l'arme il lampo gli occhi fuoi percoffe. Quel si guerrier, quel sì feroce ardente Suo fpirto, à quel fulgor tutto fi fcofte: Ben che tra gli agi morbidi languente, Erra i piaceri ebbro, e fopito ei foffe. Intanto Ubaldo oltra ne viene, e'l terfo Adamantino fcudo hà in lui converfo,
Egli al lucido fcudo il guardo gira; Onde fi fpecchia in lui, qual fiafi, e quanto Con delicato culto adorno, fpira
Tutto odori, e lafcivie il crine, e'l manto: E'l ferro (il ferro haver, non ch' altro, mira Dal troppo luffo effeminato à canto.) Guernito è sì, ch' inutile ornamento Sembra, non militar fero inftrumento.
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