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gl'ignoranti, di cui non avrebbe mai creduto sì grande il numero, e nel cui numero colui possiam mettere ancora, il quale, perchè conosce un'arte, ch'egli coltiva, crede poter giudicare di quelle, che non intende. Rimane una quarta spezie, ma scarsissima, d'uomini non men giusti che intelligenti tra' quali se havvi alcuno, che trovando nell' eccellente opera ď un contemporaneo una macchia, desiderasse di cuore, che tal macchia sparisse, ah questo è l'uomo, ch'io vorrei per amico!

Parlo de' contemporanei, tra' quali tu vivi. Perchè gli stranieri ti avranno forse in gran pregio, ed alcuno sotto un diverso cielo bacerà forse quella pagina, che da' tuoi concittadini non curasi punto. Ma quest'approvazione rimota, di cui non sai nulla, è per te affatto sterile e vana, formando i lontani una posterità di luogo, ch'equivale a quella di tempo. E così non dico pure, che nella sua patria ed in vita non ottenga qualche uomo la ricompensa

da lui meritata; ma rarissimo è il caso, e quest'uomo non sarà mai tanto grande, che più ancora che grande, fortunato non s'abbia a dirlo.

Forse non sono così pochi coloro, che godono in vecchiezza di molta fama: sia che questa età, veneranda e debole insieme, disarmi alquanto l'invidia; sia che l'invidia si sforzi a un sentimento di giustizia, che già dee durar poco, o invece s'abbandoni a uno studio di crudeltà, quasi per rendere all' uomo più felice la vita allor ch' egli è per abbandonarla. Comunque sia (lasciando che la morte non aspetta sempre una fama sì tarda) non veggio il gran bene, che da questa derivar possa. Certo non par questa da desiderarsi, se non quanto più cara e più bella ci rende la vita: quindi l'uom saggio, lungi dal proporsela come fine ultimo delle azioni, la reputa un mezzo piuttosto; e fine considera que' comodi e piaceri che ne risultano, e più ancora l'opportunità di promovere il

bene altrui, d'esser utile agli amici, alla patria, alla società. Che giova dunque l'acquistare allora questo strumento, che non abbiam più forza d' usarlo, e che siam per discendere, attori stanchi ed inabili, dalla scena del Mondo?

Ne io già intesi parlare di certe frivole celebrità passeggiere, che un'arte ben nota rapisce assai facilmente, ma delle quali è gran maraviglia, come l'uomo appagar si possa. Quanti non si credon famosi, perchè lodati vengono dagli amici, o perchè nel posto, in cui sono, godono di quegli onori, che, offerti a tutti, non adornano alcuno? Perchè i giornalisti mettono in cielo un lor libro? Perchè nelle radunanze accademiche riscuotono applausi alla buona creanza, o al cattivo gusto dovuti degli ascoltanti? Perchè piacciono le lor commedie a una gente, che tutto l'anno batte le mani a quanto immaginar si può di più assurdo, e scrivere di più barbaro? Oltrechè, se di nobile stirpe sono, non s'accorgono miserabili quanto spesso

nello scrittore corteggiato venga il signore, non solamente dai parassiti, ma talvolta eziandio da personaggi gravi, che adoperan così per bene dell'arti; tentando di fare almeno un buon Mecenate di colui, che non ha saputo farsi egli autor buono. Piccole celebrità, dalle anime piccole solo desiderate, celebrità oscure, e spesso riconosciute per tali col tempo anche da chi sen compiacque, operando al fin l'esperienza ciò che la ragione non seppe, ma disprezzate subito dal sapiente; il qual considera quella solo, che qualche cosa di grande e di raro lo costituisce agli occhi della nazione: ma perchè questa è incertissima, perchè quel posto, ch'egli occupar dovrebbe in vita, e con la persona, non sarà probabilmente occupato, per così dire, che dalla sua Ombra; nè pur dietro tal fama il sapiente s'affanna nel tempo stesso, che bella la lascia essere, come convenir può della beltà d'una donna, di cui detestar dee la bizzarria, l'incostanza, e la perversità.

Ma si può egli, senza il desiderio di questa fama, coltivar con piacere l'arti e le scienze? Ben mostrerebbe aver di queste

un assai debole e falso concetto chi ne dubitasse. Non sono forse abbastanza belle in sè stesse, onde amarle per quel diletto, che si trae sempre grandissimo dalla lor compagnia? Non tornerà piacevolissima la contemplazione di quelle verità, di cui si compongon le scienze, che diconsi matematiche? Non la magnificenza e ricchezza dell'astronomia, e la considerazion di quell'ordine, che regna nell'Universo? Ed il fisico, il chimico, il naturalista non si trova sempre in mezzo ad oggetti d'altissima, e giocondissima maraviglia? Che se interrogheremo coloro, che si danno alle sottilità della metafisica, o alle ricerche storiche, ed erudite; risponderanno, che anche in quelle probabilità, in quelle verisimiglianze s'affaccia a lor sempre una singolare bellezza. E quelle arti, che si dicono belle? E quelle lettere che amene si

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