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VIII.

Già torna a casa il cacciator vagante. Ah sì crudo piacer me non invita, L'innocente a mirar pinto volante

Cader dall'alto, e in ciel lasciar la vita,
O a sentirlo non morto e palpitante
Tra le mie calde e sanguinose dita.
Più mi piace, campestre cavaliero,
Sul mio bruno vagar ratto destriero.

IX.

Vien dalla stalla; ei rode il ferreo morso,

E trema impazïente in ogni vena :
Mille de' passi suoi prima del corso

Perde, e in cor batte la lontana arena.
Vedelo poi volar con me sul dorso
Fanciulla, che dell'occhio il segue appena,
Vede sotto ai suoi piè la bianca polve,
Che s'alza a globi, e la via tutta involve.

X.

E talor gioverà per vie novelle

Porlo, e piagge tentar non tocche avanti; Perdermi volontario, e di donzelle

Smarrite in bosco, e di guerrieri erranti I lunghi casi e le vicende belle

Volger nell' alma, e sognar larve e incanti : Poi, riuscendo al noto calle e trito, Goder del nuovo discoperto sito.

XI.

Ma già il Sole a mirar non resta loco, Che in quelle nubi, a cui l'instabil seno Splende di fuggitiva ambra e d'un foco, Che al torcer sol d' un guardo mio vien meno. Par che il colle s' abbassi; e a poco a poco Fugge da sotto all' occhio ogni terreno: Già manca, già la bella scena verde Entro a grand' ombra si ritira e perde.

XII.

Oh così dolcemente della fossa
Nel tacito calar sen tenebroso,

E a poco a poco ir terminando io possa
Questo viaggio uman caro, e affannoso.
Ma il dì, che or parte, riederà : quest' ossa
Io più non alzerò dal lor riposo ;
Nè il prato, e la gentil sua varia prole
Rivedrò più, nè il dolce addio del Sole.

XIII.

Forse per questi ameni colli un giorno Moverà Spirto amico il tardo passo, E chiedendo di me, del mio soggiorno, Sol gli fia mostro senza nome un sasso Sotto quell'elce, a cui sovente or torno Per dar ristoro al fianco errante e lasso,

Or pensoso ed immobile qual pietra,

Ed or voci Febèe vibrando all'etra.

XIV.

Mi coprirà quella stess' ombra morto, L'ombra, mentr' io vivea, sì dolce avuta, E l'erba, de' miei lumi ora conforto, Allor sul capo mi sarà cresciuta. Felice te, dirà fors' ei, che scorto Per una strada, è ver, solinga e muta, Ma donde in altro suol meglio si varca, Giungesti quasi ad ingannar la Parca.

XV.

L'alme stolte nodrir non aman punto

Il pensier della loro ultima sorte,

E che solo ogni di morendo appunto

Può fuggirsi il morir, non fansi accorte. Così divien come invisibil punto

Il confin della vita e della morte;

Onde insieme compor quasi n'è dato
Di questo, e del venturo un solo stato.

b b

LA NOTTE.

I.

Già sorse, ed ogni stella in ciel dispose

Notte con mano rugiadosa e bruna;
Piena nell'orbe suo splende, e le cose
Di soave color tinge la Luna;
E della villa, e delle popolose

Città la gente si rinserra e aduna :
Ma qui su questa rupe, ond' uom non veggio
Signor del Mondo abbandonato, io seggio.

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