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* Così chiama l'Autore l'amico suo Conte Andrea Nogarola. Questo Cavaliere mancò di vita due anni e mezzo dopo scritti questi versi, cioè nell' inverno dell' anno 1787. Buon Letterato, e buon Cittadino, avendo sostenuto più volte pubblici impieghi. Fu poi d'una soavità di maniere, e d' una purezza di costumi non ordinaria; e mori in età ancor fresca con una invidiabile e rara

costanza.

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LA SERA.

I.

Immagine di questa umana vita,

Che siccome al suo fin più s'avvicina,
Più del cammin par correre spedita
Quel resto, che dal Ciel le si destina,
È il Sol, quando con bella dipartita,
Ch'è ritorno ad altrui, ratto declina,
E tinge il muro del ritiro mio

D'un roseo raggio, che par dirmi: Addio.

II.

Dalla sua grotta in sen d'atra foresta, Ove condusse il dì chiuso e lontano, Esce il Silenzio, e della grave testa

Ai suoi ministri accenna, e della mano;
Onde subito il cocchio a lui s'appresta,
Sul qual benchè qua e là discorra il piano,
Pur nè di calpestío mai, nè di ruote,
Nè di sferza romor l'aura percuote.

III.

Ma tanto ancora ei dominar non pare, Che non susurro alcun fera gli orecchi. E or pur la villanella a quelle chiare Fonti, che sul mattin le furo specchi, Per attigner s'affretta, e al cigolare Cantando va degli ondeggianti secchi : Mentre forse da un lato è chi la mira, E dal ruvido cor su lei sospira .

IV.

Dalla capanna in ruote bianche ed adre, Dolce al villan richiamo, il fumo ascende, Dalla capanna, ove solerte madre

A preparar la parca cena intende :
Mentre il fanciullo corre incontro, e al padre
La faccia innalza, e le ginocchia prende,
E arcani amor va balbettando: stanco
Quel più non sente e travagliato il fianco.

ས.

E il figlio in alto leva, ed entro viene; E il minor fratellin tolto, ed assiso, L'un sul ginocchio, e in braccio l'altro tiene, Di cui la mano scherzagli sul viso ; La madre ora al bollir dell'olle piene, Ed ora a quei tre cari ha l'occhio fiso; E già la mensa lor fuma, non senza I due sali miglior, fame e innocenza.

VI.

O bella Sera, amabil Dea fra mille,

Che non suonano i miei

versi più dolce, E il gentile tuo viso, e le pupille, Onde melanconia spira sì dolce,

E il crin, che ambrosia piove a larghe stille, E quel, che l'aure rinfrescando molce, Respiro della tua bocca rosata,

Che non ho per lodar voce più grata?

VII.

Ma o sia che rompa d'improvviso un nembo, Che a te spruzzi il bel cria, la Primavera, O il sen nuda, e alla veste alzando il lembo L'Estate incontro a te mova leggiera, O che Autunno di foglie il casto grembo Goda a te ricolmar, te, dolce Sera, Canterò pur; s'io mai potessi l'ora Tanto o quanto allungar di tua dimora.

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