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Deh qua rivolgi il passo,

E la schiera fedel ti cinga il fianco,
Il buon Vigor, non lasso

Del vagar mai, del meditar mai stanco,

Quella, cui fosco di par sempre bianco, Ed è Letizia il nome,

E il Gioco, e il Riso, e terzo

Il moltiforme Scherzo,

Con Venere creduti, io non so come,

Poi che quei tre, chiedo alla Dea perdono, Se teco ella non è, con lei non sono.

Te fuggono le meste

Veglie, cui pioggia i sonni invan prepara, Te le Nause moleste,

Cui non è tazza che non sembri amara. Vienne il campestre loco, e questa avara

Mia mensa, o Dea, ti chiama ;

Nè alcun de' tuoi nemici

Hanno queste pendici,

Tema inquïeta, impazïente Brama,

Nè Amor, nè Gelosía, che in suo tormento

Spalanca cento lumi, e orecchie cento.

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Or ha le guance, or tutta in foco è tinta,

E non l' Invidia, d'angui

Che si rivolgon contra lei, ricinta.

O tu di natío minio i labbri pinta,
Tu vita sei del Mondo:

Ma, senza te, nel Saggio
Langue il celeste raggio,

E il lungo meditar torna ingiocondo,
Ma d'un Monarca in man pesa lo scettro,
Ma di man cade ad un Poeta il plettro.

LA MELANCONIA.

1.

Fonti,

onti, e colline

Chiesi agli Dei :

M'udiro al fine

Pago io vivrò.

Nè mai quel fonte

Co' desir miei,

Nè mai quel monte

Trapasserò.

II.

Gli onor che sono?

Che val ricchezza?

Di miglior dono
Vommene altier :

D' un' alma pura,

Che la bellezza

Della Natura

Gusta, e del Ver.

III.

Nè può di tempre
Cangiar mio fato:

Dipinto sempre
Il ciel sarà.

Ritorneranno

I fior nel prato

Sin che a me l'anno

Ritornerà.

IV.

Melanconia,
Ninfa gentile,

La vita mia

Consegno a te.
I tuoi piaceri

Chi tiene a vile,

Ai piacer veri

Nato non è.

V.

O sotto un faggio

Io ti ritrovi

Al caldo raggio
Di bianco ciel;

Mentre il pensoso

Occhio non movi

Dal frettoloso

Noto rnscel:

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