Deh qua rivolgi il passo, E la schiera fedel ti cinga il fianco, Del vagar mai, del meditar mai stanco, Quella, cui fosco di par sempre bianco, Ed è Letizia il nome, E il Gioco, e il Riso, e terzo Il moltiforme Scherzo, Con Venere creduti, io non so come, Poi che quei tre, chiedo alla Dea perdono, Se teco ella non è, con lei non sono. Te fuggono le meste Veglie, cui pioggia i sonni invan prepara, Te le Nause moleste, Cui non è tazza che non sembri amara. Vienne il campestre loco, e questa avara Mia mensa, o Dea, ti chiama ; Nè alcun de' tuoi nemici Hanno queste pendici, Tema inquïeta, impazïente Brama, Nè Amor, nè Gelosía, che in suo tormento Spalanca cento lumi, e orecchie cento. Or ha le guance, or tutta in foco è tinta, E non l' Invidia, d'angui Che si rivolgon contra lei, ricinta. O tu di natío minio i labbri pinta, Ma, senza te, nel Saggio E il lungo meditar torna ingiocondo, LA MELANCONIA. 1. Fonti, onti, e colline Chiesi agli Dei : M'udiro al fine Pago io vivrò. Nè mai quel fonte Co' desir miei, Nè mai quel monte Trapasserò. |