XII Volge stagion talora Che in ciel t'incontri con l'altera Aurora. Placida Dea, tu poco A pugnar seco aspiri, Paga che tanto a lei dell' emisfero Men lungo sia, che non a te, l'impero. XIII Però che alquanto albeggia Pria quella Diva, e alquanto indi rosseggia : Ma tosto il Sol l' ha colta, Tosto per lui dell'aria La signoria l'è tolta : Trapassa solitaria, Sconosciuta trapassa entro il suo velo Nel color tinto, in cui si tinge il cielo. t XIV. O al lume tuo sereno Sieda l'Estate, discoperta il seno, O il Verno assiderato Vada i tuoi rai cercando, Alcun tepor bramato Quasi trovar sognando, Così tu mia sia destra, inno canoro Batterà sino a te le penne d'oro. XV. E allor che infermo e stanco Trarrò nelle giornate ultime il fianco, Che al tuo silenzio opaco Mi fia l'errar fatica, Mi fia la selva, e il laco Solo delizia antica, Nel mio ritiro un de' tuoi rai discenda, E sul bianco mio crin dolce risplenda. ALLA SALUTE. Figlia del Ciel, da quella Gran mano uscita, allor che l' uom n'usciva, Chi fia cotanto bella, Che di beltà teco contenda, o Diva? Sono le guance tue porpora viva, Grande a mirar diletto, Agile è il piè, sereno L'occhio, e la fronte, e pieno Di naturale orgoglio il colmo petto, In quella prima etade, Non che mover preghiera, e templi alzarti, Cieco alla tua beltade Nè rivolgeasi pur l'uomo a mirarti. Ma poi che aperto il fatal vaso, e sparti Di te com' ei s'accese! Te giusta ira premea contro i mortali, Sorsero poi superbe Rocche e città; ma più, che l'alte mura, Piace a te il campo, e l'erbe, Piace l'intatta vergine natura. Qui sovente ti fai, Dea sobria e pura, All' arator dappresso Tra Fatica, cui mille Escon del petto stille, E Pace, che ognor serba un volto istesso: Mentre in lucente gonna, Ma con tremuli nervi, e cor non sano, Ricca nobile donna Dalla città ti chiama, e chiama invano. D'arcane tazze a lei medica mano Invan mesce conforto, Invan fra tepid' acque Nuda discese e giacque : Disfiorata è la guancia, e l'occhio è morto, Ti chiamò Dea nemica L'umana gente, e il labbro tuo rispose: M'ebber de' padri tuoi le dure spose. Cinta di pelli intatte, E un nappo in man di latte, Più spesso sovra il carro errai del Scita. Mentre la madre il fanciullin tuffava, Per le fredde del Tanai onde io notava. |