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M'arresto; e poi tra la folt' erba movo: Troppo di cardo o spina al piè non cale, E nel vóto palagio ecco mi trovo.

Stillan le volte, e per l' aperte sale
Passa ululando l' Aquilon, nè tace
Nel cavo sen dell'ozïose scale.

E pender dalle travi odo loquace
Nido, entro cui tenera madre stassi
I frutti del suo amor covando in pace.
Quindi sul campo con gli erranti passi,
Per via diversa dalla prima, io torno.
Veggo persona tra i cespugli e i sassi.

Sedea sovra il maggior masso, che un giorno Sorse nobil metà d' alta colonna: Abbarbicata or gli è l' edera intorno.

M' appresso; ed era ossequïabil Donna: Scendea sul petto il crine in due diviso, E bianca la copria semplice gonna .

Par che lo sguardo al ciel rivolto e fiso Nelle nubi si pasca, e tutta pósi

L'alma rapita nel beato viso.

Chi sei? le dico; ed ella, i rai pensosi, Chinando, Solitudine m' appello : O Diva, sempre io t'onorai, risposi .

Mettea dal mento appena il fior novello; Ed uscendo, tu sai che parlo il vero, Dal folleggiar d'un giovanil drappello,

In disparte io traeva; e se un sentiero Muto e solingo a me s'apria, per esso Mi lasciava condur dal mio pensiero.

Poscia delle città lodai più spesso Rustico asilo, e più che loggia ed arco, Piacquemi un largo faggio e un brun cipresso.

Questo so ben: ma che sovente al varco
Un Nume t'aspettò, pur mi rammento,
Rispose, e che per te sonar fe' l'arco.

E stato fora allor parlar col vento
Il parlarti de' campi, e morte stato
Far un passo lontan dal tuo tormento.

Ma tutto de' tuoi giorni era il gran fato

Seguir la tua giovine Maga, e meno
Curar la vita, che lo starle a lato,

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E dal torbido sempre, o dal sereno

Lume degli occhi suoi pendendo, berne
L'incendioso lor dolce veleno.

È vero,
è ver ma chi mirar l'eterne
Può in man d' Amor terribili quadrella,
E non alcuna in mezzo al cor tenerne,

S'egli al fianco si pon d'una donzella,
Che ad una fronte, che qual astro raggia,
Giunga in sè stessa ogni virtù più bella,

Che modesta ci sembri, e non selvaggia, Varia, nè mai volubile, che l'ore Viva tra i libri, e pur rimanga saggia?

Ora l' età, l'esperienza, e il core Già stanco, ed il pensier, che ad altro è vólto, Di me stesso potran farmi signore.

Sorrise allor sorriso tal, che al volto

Senza tor maestà crebbe dolcezza,

La casta Diva; e così dir l'ascolto:

Molti di me seguir punge vaghezza; Ma vidi ognor, come a poche alme infondo. Fiamma verace della mia bellezza.

Alcun mi segue, perchè scorge immondo Di vizj e di viltà quantunque ei mira]: Questi non ama me, detesta il Mondo.

Non ama me, chi del suo Prence l'ira
Contro destossi, ed in romita villa
Esule volontario il piè ritira;

Ma la luce del trono, onde scintilla
Su lui non balza, egli odia, odia l'aspetto
Del felice rival, che ne sfavilla.

Non chi la lontananza d' un oggetto Piange, che prima il fea contento e pago, E gli trasse partendo il cor del petto;

Ma d'un romito ciel si mostra vago, Per poter vagheggiar libero e oscuro Pinta nell' aere l'adorata imago.

Questi voti d'un cor, che non è puro, Odio; e di lui, che in me cerca me stessa, Solo gli altari e i sagrifizj io curo.

Ma quanto a pochi è dagli Dei concessa Alma, che sol di sè si nutre e pasce? Che ogni dì, che a lei spunta, è sempre dessa?

Che ognor vive a sè cara? Uom, che le ambasce Del rimorso, torcendo in sè la vista, Paventerà, questi per me non nasce.

Questi sol qualche ben nel vario acquista Tumulto, perchè in lui strugge e disperde La conoscenza di sè stesso trista.

Ma su lucido colle, o per la verde Notte d'un bosco, co' pensieri insieme, E co' suoi dolci sogni, in cui si perde,

Passeggia il mio fedele, e duol nol preme, Se faccia d'uom non gli vien contro alcuna, Perchè sè stesso ritrovar non teme;

E nel silenzio della notte bruna Estatiche fissar gode le ciglia

Nel tuo volto soave, o argentea Luna;

E
per l'ampia degli astri aurea famiglia
Gode volar, di Mondo in Mondo passa,
Passa di meraviglia in meraviglia.

Levando allor la fronte trista e bassa
Deh! grido, se ti spiace il culto mio,
E che pensi di me, saper mi lassa.

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